mercoledì 20 luglio 2011

Rispondo a Fabio Barbisan, alla riscossa contro gli animalisti e le notizie animaliste.

Come tutti saprete, ultimamente ci sono stati una serie di servizi al Tg1 e su vari giornali, che finalmente hanno parlato della tematica, anzi, della problematica dell'allevamento, e finalmente qualcuno ha provato a svegliare le coscienze.
Ovviamente questo non può che indispettire il mondo che si critica, che non può certo rimanere illeso da questo scenario. La questione è molto più che semplice, i vegetariani e gli animalisti sono una minaccia, le immagini degli allevamenti sono una minaccia, per quanto si possa volutamente far finta di nulla per non parlarne nemmeno, dal 2000 ad oggi, le statistiche parlano di un passaggio dal 2.5% al 12% delle persone che non mangiano più carne, ovvero oltre una persona su dieci che non mangia più carne. L'industria inizia ad interessarsi di questa fetta di popolo in espansione, che continua a crescere, a farsi sentire, a consumare in modo conscio e mirato, e l'industria dell'allevamento, protetta dai muri e dalle pubblicità fittizie che millantano benessere animale immaginario, inizia a trovare per la prima volta degli ostacoli.

Di seguito riporto parte della lettera aperta inviata da Fabiano Barbisan, presidente del consorzio "L'Italia Zootecnica", e rispondo paragrafo per paragrafo. (Ci sono parti irrilevanti, come risposte ad affermazioni di personaggi in cui non mi identifico e ne identifico il movimento animalista o che comunque non dicono niente, che ho rimosso per rendere meno prolisso l'articolo, tuttavia la lettera è interamente consultabile qui)

Egregio Direttore,

rasenta l’incredibile ciò che sta succedendo contro la zootecnia bovina da carne: un vero e proprio attacco per distruggere il sistema di allevamento italiano.

Palese il vittimismo di questa frase, che dimentica totalmente la natura della critica e questione iniziale, ovvero il benessere animale. I servizi mostrati, le critiche dell'animalismo almondo zootecnico riguardano un problema reale, ovvero lo sfruttamento animale, non è tifare una squadra o l'altra per partito preso, non è un casuale attacco, ma è prima di tutto una DIFESA, di un mondo che viene totalmente dimenticato a favore di interessi economici.

Spiace che ampio spazio venga dedicato dal suo giornale ai detrattori animati da ideologie (animalisti, vegetariani, vegani, e adesso anche il sig. Petrini di Slow Food) mentre nessun giornalista si documenta con inchieste serie (e non per fare solo sensazione e spaventare i lettori) su cosa realmente significhi allevare i bovini con metodo protetto, ossia quello che il sig. Petrini dalle pagine del suo giornale definisce intensivo e in maniera offensiva associa a “fabbriche di shampoo”.

Quali sarebbero le inchieste serie? Da Perito Agrario quale sono, e quindi da studente ex frequentatore dei luoghi zootecnici, quello che ho visto nei servizi televisivi non è niente di particolarmente distante dalla norma del mondo zootecnico. Vogliamo fare inchieste serie e non pilotate? Bene, prendiamo alla cieca 100 aziende di maiali, senza avvisare il proprietario del nostro arrivo, e filmiamo il loro interno. Contiamo quanti maialini morti ci sono nel cassonetto del retro, schiacciati dalla madre a causa del poco spazio. Contiamo quante aziende non tagliano coda, orecchie dei maialini, o quante non tolgono i denti e non li castrano, tutto senza anestesia. Facciamo respirare l'aria, seppur con i sistemi moderni di ventilazione, e chiediamo a quante persone volete se gli sembra un aria etologicamente naturale. Andiamo nelle aziende da latte, e registriamo quante sono le tare genetiche delle Frisone Italiane dovute alla selezione genetica, o quante sono le mastiti all'anno. Facciamola questa inchiesta seria.


Noi allevatori e chi ne capisce qualcosa di zootecnia bovina da carne, per corretta informazione, lo definiamo allevamento protetto, perché i bovini sono al centro della nostra attenzione. Nelle nostre stalle i vitelloni sono protetti dai parassiti, bevono acqua potabile, mangiano alimenti controllati (cereali), se hanno problemi di salute vengono curati e monitorati da medici veterinari specializzati, vivono in un ambiente che riduce al minimo infortuni e malattie, sono controllati e accuditi giornalmente.

Ma chi ve l'ha chiesto? Nessun animale libero baratterebbe tutto ciò, con la possibilità di vivere interamente la propria vita, con padronanza delle proprie azioni, tanto quanto non lo baratterebbe un uomo libero. Solo un pazzo può pensare il contrario, e non si tratta di antropomorfizzare gli animali, poichè il "voler vivere" e il "non voler soffrire" sono condizioni comuni a tutti gli esseri senzienti, indipendentemente dalle proprie abitudini sociali di vita.

Non potrebbe essere diverso visto che sono destinati all’alimentazione umana (anche per le bistecche di Slow Food), allevati e commercializzati per dare un giusto reddito all’imprenditore agricolo che ha scelto di fare questa professione che milioni di consumatori, onnivori, apprezzano. E a proposito di Lav, vegetariani e vegani ecc…, si sono mai preoccupati di verificare le condizione di “benessere umano” dei raccoglitori di pomodori in certe aree del nostro Paese?

Lei conosce personalmente ogni vegetariano o vegano d'Italia? Ogni persona combatte personalmente le proprie battaglie, inoltre anche fosse che un vegetariano se ne infischi della condizione del raccoglitore di pomodori, questo crea sicuramente in lui una pecca, ma non vedo in che modo renda sbagliata o meno importante la sua scelta di vegetariano, o il fatto che sia inconfutabilmente giusta.

Mi piacerebbe che il sig. Petrini di Slow Food, Roberta Bartocci e Paola Segurini del settore Vegetarismo della Lav, che vogliono la “svolta vegetariana”, e tutti coloro che la pensano come loro, trovino il tempo per venire a vedere ciò che affermo. Vengano di persona nel mio allevamento o, se credono, da qualsiasi altro socio di Unicarve o del Consorzio L’Italia Zootecnica, si facciano accompagnare da giornalisti che sanno distinguere un toro da una vacca ed io sarò ben lieto di coinvolgerli in un esempio concreto: sono pronto a mettere a loro disposizione un prato verde vicino alla stalla, con qualche albero qua e là, e a ospitarli per “campeggiare”. Potranno, quando hanno sete, bere l’acqua da una vecchia cisterna a cielo aperto collocata nel prato, oppure dalle immancabili pozzanghere che si formano quando piove, ovviamente non immuni all’urina, sempre presente dove razzolano animali; potranno mangiare raccogliendo il cibo da terra e tutto ciò che trovano, ovviamente senza pulirlo dalla polvere (piogge acide comprese), senza tovaglia, tavolino e portavivande. Ovviamente sono vietate tende da campeggio, sacchi a pelo, spray antizanzare, borracce d’acqua potabile, cibo confezionato, tutte cose da gente “imborghesita”, non da veraci ambientalisti.

Spero che davvero non voglia far credere ai suoi lettori, che la condizione da lei descritta, stile fattoria dello zio Tobia, rappresenti quello che chiamate in modo curioso "allevamento protetto", ovvero quello che altro non è che allevamento intensivo, ovvero la consueta realtà dell'allevamento in Italia e nel mondo. Ci si può anche andare a vedere questa situazione, ma poi facciamo un salto a sopresa in 100 allevamenti intensivi, o perlomeno nei 100 che ci fanno entrare con una telecamera.


....E, a proposito, un aspetto da non dimenticare è che i ruminanti (il Signore li ha dotati di questa peculiarità), attraverso il loro apparato digerente, trasformano la fibra in proteina e, per noi produttori, la canna del mais in carne, dato che, opportunamente triturata e conservata, diviene l’alimento base per avere dell’ottima carne da bistecche. È un danno all’ambiente o verso i cittadini? Credo sicuramente di no, visto che si può trarne un giovamento economico ed ambientale, oltre che avere un prodotto finale di “valore”. L’alternativa? Gli stocchi del mais fermenterebbero a cielo aperto, producendo quello che il sig. Petrini vuole evitare: metano, cioè “gas serra”.

Se prima di scrivere questa frase avesse avuto il buon gusto di consultare dei dati FAO, saprebbe che il danno all'ambiente c'è eccome, e di conseguenza anche ai cittadini, anche se forse ai "compagni di banco" solo indirettamente, e tramite un ciclo talmente lungo che la colpa la si può dare a tantissimi altri componenti di questo ciclo. La carne è responsabile del 18% delle emissioni CO2, un chilo di carne mediamente rappresenta il consumo di 35mq di foresta, 15500 lt d’acqua, 15 Kg di cereali e la produzione di 36 kg di CO2. Tutto questo per non parlare dell'inquinamento dell'industria dell'allevamento, l'inquinamento da scorie azotate di liquami, etc... è solo uno specchietto, che chiunque di noi volesse può approfondire.

Ritengo, caro Direttore, che la zootecnia sia sotto attacco perché, sempre su Repubblica, abbiamo letto l’11 aprile un altro titolo inquietante contro di noi: “Meno carne e più uova nelle mense di scuole e uffici pubblici. Svolta vegetariana del Ministero dell’Ambiente, che va incontro alle richieste degli animalisti e introduce nuovi criteri nella scelta delle forniture alimentari per la ristorazione nella Pubblica Amministrazione. Le ditte più ‘ambientaliste’ guadagneranno punti nelle gare d’appalto”. Premesso che non mi va di disquisire sui prodotti biologici o presunti tali, apprendo con stupore da tale articolo che il Ministero dell’Ambiente intende sostituirsi al Ministero della Salute nello stabilire la qualità/nutrizione dei cibi nelle mense scolastiche e, probabilmente, quello dell’Agricoltura sta a guardare. Dato che non sono un nutrizionista, chiedo alle “esperte Lav” se sia intelligente e corretto verso gli studenti in fase di sviluppo fisico (già con qualche punta di obesità diffusa) limitare le proteine nobili tratte dalla carne.

Certo che non sarebbe intelligente limitarle, ma infatti non lo si fa. Si propongono alternative, di pari valore biologico, e diminuendo i grassi animali, che sono oggi un gravissimo problema alimentare. Oggi si consuma infinitamente più carne e derivati animali di quelli proposti dalla dieta onnivora mediterranea, e si consumano molti meno prodotti vegetali, meno legumi, meno fibra, ed è sempre più difficile trovare famiglie che sanno anche solo cucinare più di cinque pasti senza metterci carne o derivati.

Se il Ministero dell’Ambiente non smentisce la “svolta vegetariana”, la notizia ha dell’incredibile e dimostra quanta confusione, quanta superficialità alberga nelle Istituzioni e come la politica offra il destro a chi “opera contro qualcuno” anziché adoperarsi per far rispettare le professioni e prima ancora fornire corrette informazioni ai consumatori. Ma perché certa stampa non prova ad informarsi meglio, sentendo più fonti, anche quelle che possono risultare “sgradite” perché non danno ragione?

Ripete anche qui l'errore di considerare questi articoli e servizi "contro" qualcuno, e non a favore e all'aiuto di qualcun altro.

Ad esempio, il prof. Giuseppe Polina, presidente dell’Associazione per le Scienze e le Produzioni Animali (ASPA), da recenti studi scientifici afferma che le attuali pratiche di allevamento intensivo (cioè, protetto)garantiscono, oltreché un’alimentazione bilanciata e sicura per l’animale, anche le migliori condizioni di benessere animale e consentono di ridurre la produzione di gas serra e di nitrati;

Più ancora dell'assenza dell'allevamento? In che misura, con che rilevanza? Parole che dicono tutto e niente.

inoltre, le più recenti attività di ricerca, pubblicate su prestigiose riviste scientifiche, hanno evidenziato in maniera inconfutabile che il consumo di carne rossa e di altri alimenti di origine animale non rappresentano un fattore di rischio per patologie degenerative quali tumore, diabete e malattie cardiovascolari.

Questa è follia. Possiamo citare decine e decine di studi che dimostrano l'esatto opposto, una delle ultime è la ricerca "“Chemistry behind Vegetarianism”, Li, J. Agric. Food Chem. 2011" che parla proprio delle correlazioni di malattie cardiovascolari con il consumo di carne e di eccessi di grassi animali.. Parliamo di disinformazione?

Il prof. Pulina ricorda anche che l’ASPA si è attivata con l’istituzione di una commissione di studio “Impronta Ecologica e Produzioni Zootecniche” con lo scopo di fornire ai cittadini informazioni obiettive e scientifiche provate sul contributo della zootecnia per la riduzione dei gas serra.

Fornitecene allora. Attualmente gli attendibilissimi dati FAO dimostrano come inequivocabilmente, l'allevamento e l'industria connessa all'allevamento, siano tra i primi posti dei responsabili maggiori di inquinamento ed emissioni di gas serra.


Il prof. Bruno Stefanon, preside della Facoltà di Medicina Veterinaria di Udine e rappresentante per l’Italia dell’Associazione Europea di Produzione Animale (EAAP) con sede a Roma, ribadisce, nell’ambito delle ricerche scientifiche da lui svolte, che le condizioni degli attuali allevamenti italiani ed europei garantiscono gli standard di benessere, sicurezza alimentare e riduzione (controllo) dei gas serra, per una migliore sostenibilità ambientale. Infatti, a parere del prof. Stefanon, la carne rossa contiene dei composti funzionali in grado di svolgere un ruolo positivo nella risposta fisiologica dell’uomo.

Siamo tutti certi che il prof. Bruno Stefanon abbia visitato tutti gli allevamenti d'Italia, e ci garantisca che le Asl e gli enti competenti facciano dei controlli continui e senza preavviso per verificare la correttezza degli standard di benessere (che a mio avviso anche laddove ci sono, non sarebbero chiamabili "benessere" ma semplicemente condizioni etologiche idonee), e che le volte che ho visto manzi in collasso caricati da una ruspa sui camion e mandati al macello, erano delle mie macabre fantasie notturne che ho sognato. Al di là del fatto che, quando io ho studiato Zootecnia, il benessere animale studiato dai veterinari e futuri veterinari non mi è mai sembrato minimamente riguardare la condizione psicofisica o sociale di per se dell'animale, ma è sempre stato solo e solamente un fattore di produzione: Diventa Zootecnicamente interessante intervenire su un "malessere", quando e solo quando quel malessere interviene negativamente sui fattori di produzione.

Viene il sospetto che tanta faziosità e contrarietà da parte di chi scrive attaccando la nostra zootecnia bovina da carne e ponendosi in relazione così negativa nei confronti di un alimento tanto prezioso per l’umanità, a mio modesto parere, nasconda una ricerca spasmodica (di certe “penne”) di farsi conoscere, creando mostruosità, scandali falsi e pretestuosi, per “farsi leggere”, comunque. Anche a danno di una produzione zootecnica nazionale, ritenuta un fiore all’occhiello della nostra agricoltura, anche dall’Europa.

Il sospetto che le manca invece, quello che dovrebbe sicuramente più preoccuparla dato il suo ruolo nella faccenda, è che un altro sospetto stia sorgendo alla gente, ovvero quello che quella bistecca "felice" che ci finisce nel piatto, forse non è stata poi così felice prima di essere una bistecca. Sicuramente qualcuno che fa il suo mestiere, coglie al volo questo sospetto e cerca di essere il primo a dare delle risposte, ma in questo ovviamente c'è molto meno di male che nel difendere un sistema che come base primaria, ha lo sfruttamento e la morte di esseri pienamente senzienti.

Spero, caro direttore dott. Mauro, che in futuro voglia dedicare un po’ di spazio anche a noi allevatori. Nell’immediato non pretendo che pubblichi tutta la mia lettera, ma che, almeno, incarichi un giornalista di andare a fare una chiacchierata con gli allevatori, magari sporcandosi le scarpe di terra. Spero anche di ricevere qualche comunicazione dai Ministeri interessati per capire se i miei figli potranno continuare a lavorare nell’azienda di famiglia, oppure mi vedrò costretto a dire loro di cambiare mestiere.

Sarebbe sicuramente una buona idea.

Grazie per l’attenzione.

Il Presidente
Fabiano Barbisan

Lascio al lettore ogni conclusione, io la mia l'ho detta.

Davide Maccagnan

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